IL MITO DI ULISSE A
FORLÌ
"Ulisse,
l'arte e il mito" è la mostra ospitata al Museo San Domenico di Forlì dal
15 febbraio al21 giugno 2020. All'eroe omerico e al suo mito universale è
dedicata questa grande mostra, un viaggio nell'arte che ripercorre le vicende
del più antico e moderno personaggio della letteratura occidentale, l'uomo dal
multiforme ingegno. Le sale del San Domenico ospitano250 opere tra le più
significative, dall'antico al Novecento, suddivise in 16 sezioni, in un
percorso museale che comprende pittura, scultura, mosaici, miniature,
ceramiche, arazzi e opere grafiche e che si snoda attraverso i più grandi nomi
di ogni epoca. Il protagonista
dell’Odissea è il più antico e il più moderno personaggio della letteratura
occidentale. Egli getta un’ombra lunga sull’immaginario dell’uomo, in ogni
tempo. L’arte ne ha espresso e reinterpretato costantemente il mito. Raccontare
di Ulisse ha significato raccontare di sé, da ogni riva del tempo e raccontarlo
utilizzando i propri alfabeti simbolici, la propria forma artistica,
attribuendogli il significato del momento storico e del proprio sistema di
valori. Dall’Odissea alla Commedia dantesca, da Tennyson a Joyce e a
tutto il Novecento, di volta in volta, Ulisse è l’eroe dell’esperienza umana,
della sopportazione, dell’intelligenza, della parola, della conoscenza, della
sopravvivenza e dell’inganno. E’ “l’uomo dalle molte astuzie e “dalle molte
forme”. Dopo la Guerra di Troia, quando affronta le sue avventure nel viaggio
del lungo ritorno, egli è già un personaggio famoso. Ma quel viaggio è anche la
faticosa riconquista di sé, della propria identità, attraverso il recupero
narrativo della sua vicenda alla corte di Alcinoo, attraverso la memoria del
ritorno. Così come accade all’arte, che narra narrandosi, che racconta
l’oggetto e la sua forma stilistica. La nuova grande esposizione ai Musei San
Domenico di Forlì presenta oltre 200 opere tra le più significative di ogni
tempo. Dall’antico al Novecento. Pittura, scultura, miniature, mosaici,
ceramiche, arazzi e opere grafiche ricomprendono il viaggio di Ulisse come
viaggio dell’arte. Fin dall'antichità gli artisti non hanno cercato di
illustrare in forma puramente didascalica l’intera Odissea. Se l’età arcaica
privilegia gli episodi di Polifemo, di Circe, di Scilla e delle Sirene, l’età
classica aggiunge gli incontri e i riconoscimenti: l’incontro con Tiresia,
Atena, Nausicaa e Telemaco, il dolore e l’inganno della tela di Penelope, il
riconoscimento della nutrice Euriclea, la strage dei Proci. L’ellenismo
aggiunge l’incontro domestico e commovente con il cane Argo, l’abbraccio e il
riconoscimento tra Ulisse e Penelope, l’arte romana infine, oltre a ripetere i
modelli precedenti, raffigura, quale epilogo consolatorio, l’abbraccio tra
Ulisse e il padre Laerte. L’arte antica non è interessata a mettere in scena il
poema epico, quanto un uomo che attraverso le sue molteplici e dolorose
esperienze ha imparato a conoscere se stesso. Dante, che scrive 2000 anni dopo
Omero, usa gli autori latini che sottolineano le qualità di Ulisse. Così nel
canto XXVI dell’Inferno egli conferisce a Ulisse una nuova e diversa
centralità. L’Ulisse di Dante non è spinto dalla nostalgia del ritorno, né,
come l’Enea virgiliano, è mosso da una missione, egli è un viandante spinto
dall’ardore “a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore”, e
si lancia “per altro mare aperto”, verso il “folle volo”. L’influsso di Dante
sull’arte non riguarda solo codici e miniature, capitelli e disegni, ma giunge
fino ad artisti come Botticelli e la sua rilettura illustrata della Commedia,
Signorelli e Federico Zuccari, per poi immergersi in un lungo silenzio fino a
William Blake e all’Ottocento. Mentre le narrazioni omeriche sopravvivono nei
cassoni fiorentini dipinti del Quattrocento, che appartengono ancora al gusto
epico-cortese, con pittori come lo Scheggia e Apollonio di Giovanni. Per
rifiorire poi nei disegni e nelle opere di Filippino Lippi o del Parmigianino.
Le diverse interpretazioni della figura di Ulisse si fanno sentire anche nei
cicli figurativi del Cinquecento, che si diffondono nelle regge e nei palazzi
di mezza Europa. Con un carattere non solo illustrativo o decorativo, ma in una
sintesi integrata tra valori formali e valori morali espressi da artisti quali
Nicolò dell’Abate, Primaticcio fino alle tele di Beccafumi, Dossi, Spranger. In
questo ambito Ulisse è l’uomo virtuoso che affronta e vince le prove, personali
e pubbliche. Il Seicento di Rubens, Lorrain, Jordaens, Cornelis, tra natura e
teatro ne raffigura e diffonde il mito fin nelle manifatture. Col classicismo
di Canova, Mengs e Füssli, il Settecento _ anche per la ripresa degli studi
omerici e delle nuove scoperte archeologiche _ si mostra come un secolo omerico,
mentre il romanticismo di Hayez avvia un ulteriore rinnovamento. Il XIX secolo
ritrova nel mito del viaggiatore e del viandante (da Foscolo a Tennyson, dal
Romanticismo a Nietzsche), qualcosa di odissiaco nel destino dell’uomo moderno.
I Preraffaelliti, e in generale le inquietudini allusive del Simbolismo,
attraverso le raffigurazioni di soggetti quali Calipso, Circe, Penelope o le
Sirene vagheggiano la visione onirica di un mondo che oramai sfugge al
desiderio di bellezza ed è sopraffatto dalla realtà quotidiana, ma non
rinunciano a un contenuto artistico che trascenda l’esperienza ordinaria e
porti l’esistenza quotidiana dell’individuo su un piano universale. Il XX
secolo _ sulla scorta dei capolavori letterari di Eliot, Kafka, Pascoli,
Pavese, Primo Levi, Kavafis e soprattutto l’Ulisses di Joyce _ fa di Ulisse il
prototipo dell’uomo contemporaneo: inquieto, alienato, irrimediabilmente diviso
nel proprio io. Per questo più che un ritorno integrale al mito, al suo
racconto, l’arte celebra ritratti isolati e parziali dell’eroe. Frammenti. Da
Böcklin a De Chirico, da Savinio a Cagli, da Meštrović a Martini,
assistiamo alla definizione di un’arte come ricerca e rappresentazione di un
varco, di una via d’uscita possibile che altrimenti si nega all’eroe divenuto
uomo. L’Ulisse del Novecento non riesce di fatto a ritrovare Itaca. Il suo
ricordo del ritorno si è perduto. E «scordare il ritorno», significa scordare
la forma del proprio destino. Il viaggio attraverso un universo così
straordinariamente ricco e diversificato, che questa mostra propone, consente
di cogliere i tratti più caratteristici di singoli segmenti della tradizione
figurativa, nonché il rispecchiamento della propria ricerca esistenziale tra
poesia e storia.